Francesco Agnoli – 12 gennaio 2006
> La manifestazione a difesa della 194 che si svolgerà sabato a Milano ha l’
> aria di essere una sfilata mesta, lontana dalla realtà. Alcuni partiti
> porteranno, è vero, da tutta Italia i loro aderenti: ma le persone,
> quelle di tutti i giorni, e soprattutto le donne, sono altrove. Non
> siamo più negli anni Settanta, e il mito delle libertà a ogni costo è
> sfiorito dentro una società atomizzata, in cui ogni individuo è legge
> e fine per sé e con un carico immenso – come avrebbe detto Verga – di
> “vinti”, di poveri ‘Ntoni e di povere Lie, che, dimentichi di ogni
> antico valore, sono stati travolti dalla “fiumana del progresso”. Sono
> troppe, dopo ormai trent’anni, le donne che hanno abortito, perché
> l’aborto sia sentito come espressione di libertà, come la possibilità
> di eliminare solo «un grumo di cellule e di sangue chiamato embrione»,
> secondo le conoscenze sbrigative mostrate da Mariuccia Ciotta in un
> editoriale del Manifesto (29 dicembre 2005). Sono troppe anche le
> donne che hanno vissuto il trauma del post aborto, dopo aver creduto a
> un medico che minacciava possibili malformazioni, o perché qualcuno
> aveva spiegato che l’operazione è facile «come togliere un neo».
> L’indagine conoscitiva promossa dal Parlamento sull’applicazione della
> 194, invece, forse ha il merito di costringere l’opinione pubblica a
> rifare i conti, almeno un poco, con una legge rimasta ostaggio, sino a
> ora, di approcci ideologici, nonostante alcune improvvise incursioni
> come quella, assai celebre, di Giuliano Amato nel 1988. Amato ebbe a
> definire la 194 una «legge tutta fondata sull’ipocrisia« (Panorama, 15
> maggio), scatenando una polemica rovente. Oggi è venuto il momento di
> guardare a questa ipocrisia, o almeno di capire in cosa consista la
> distanza che esiste tra lo spirito della legge e la sua corretta
> applicazione. Abbiamo riassunto le tante domande in sette punti.
> Eccoli.
>
> 1. La 194, all’articolo 1, afferma che l’aborto «non è mezzo per il
> controllo delle nascite», né per la «limitazione delle nascite».
> Eppure sappiamo che in molti casi non è così, dal momento che vi sono
> diverse coppie che abortiscono da due sino a sei volte: «Nel 2002 gli
> aborti ripetuti sono stati il 24,2% del totale… il 17% circa delle
> donne sono alla seconda esperienza, il 4,7% alla terza, l’1,5% alla
> quarta, lo 0,8 alla quinta o più» (Corriere della Sera, 11 settembre
> 2004). Forse, allora, occorre fare qualcosa, dal momento che non è
> facile credere che in tutti i casi di aborto ripetuto si possa parlare
> di «serio pericolo per la salute fisica o psichica», con un aborto
> ogni quattro gravidanze.
>
> 2. Bisogna ricordare che, contro lo spirito della legge, sono sempre
> più numerosi gli aborti selettivi, eugenetici. Secondo Franco
> Chiarenza, vicepresidente della Fondazione Einaudi, esisterebbe un
> vero e proprio «dovere» dei genitori di eliminare «un feto certamente
> destinato a divenire un essere umano condannato a menomazioni e
> sofferenze» (Il Foglio, 12 luglio 2005). I risultati di questa forma
> mentis sono sotto gli occhi di tutti.
> Afferma il dottor Claudio Giorlandino, direttore scientifico di
> Artemisia, favorevole all’aborto legale, di aver visto «coppie
> scegliere l’aborto solo perché il feto aveva sei dita ai piedi
> [operabilissime, ndr]»: abortivano «ogni volta che le analisi
> segnalavano la presenza della malattia [recessiva grave, ndr], per
> portare poi a termine solo la gravidanza del bimbo sano».
> Si vuol far qualcosa, dunque, per evitare che succeda tutto questo e
> che, come in Inghilterra, si finisca con l’assurdo di eliminare un
> figlio per un semplice labbro leporino, spacciandolo per aborto
> terapeutico?
>
> 3. La legge 194 all’articolo 2 prevede che i consultori contribuiscano
> a «far superare le cause che potrebbero indurre la donna
> all’interruzione di
> gravidanza»: eppure vi sono moltissimi casi in cui i consultori si
> limitano a distribuire certificati per abortire, senza svolgere
> compiutamente il loro ruolo, a volte anche per mancanza dei mezzi
> necessari. Inoltre allo stesso articolo è previsto che i consultori
> possano «avvalersi, per i fini previsti dalla legge, della
> collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di
> associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternità
> dopo la nascita»: perché allora c’è chi alza barricate contro la
> valorizzazione di queste risorse?
>
> 4. La legge 194, si diceva, eviterà il ricorso all’aborto clandestino.
> Oggi
> invece l’aborto clandestino rimane vivo e vegeto, perché è la
> mentalità abortista a essersi diffusa: di conseguenza, come racconta
> Chiara Valentini sull’Espresso (10 novembre 2005), questo fenomeno,
> benché volutamente ignorato, non cessa di esistere. È anzi in continua
> crescita, sia tra le immigrate che tra le nostre giovanissime. A ciò
> si aggiungano i casi di cui si è occupata la cronaca in cui, violando
> la legge, talune cliniche compiacenti fanno passare per aborto
> spontaneo un aborto chirurgico provocato, o violano i limiti di tempo
> previsti dalla 194. Né mancherebbero gli episodi, infine, in cui
> operatori ospedalieri o dei consultori avrebbero consigliato donne che
> avevano oltrepassato i termini legali per abortire di recarsi in
> cliniche in cui gli aborti venivano fatti, senza scrupolo alcuno, sino
> al settimo-ottavo mese, contra legem.
>
> 5. L’articolo 7 della 194 prevede che quando il feto è potenzialmente
> vitale fuori dell’utero l’aborto possa essere praticato solo e
> soltanto «quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo
> per la vita della
> donna»:
> poiché oggi, a differenza del passato, vi sono feti che sopravvivono
> anche a
> 23 settimane, occorre di norma evitare l’aborto oltre questa data, nel
> rispetto della legge stessa e per impedire che si verifichino casi di
> bambini che nascono dopo un tentato aborto, con tutte le conseguenze
> che ne derivano. Il problema è stato sollevato in più occasioni, senza
> alcun risultato, ad esempio dal dottor Danilo Morini, del Consiglio
> Superiore di
> Sanità: «Pur non volendo dare giudizi sulla legge e sulla opportunità
> o meno di modificarla, si ha la fondata sensazione che l’ultimo comma
> dell’articolo
> 7 non abbia avuto in questi anni la dovuta attenzione applicativa».
>
> 6. Sempre rimanendo all’interno della 194, occorrerebbe rendere più
> chiaro il concetto di informazione alla coppia e alla donna: viene
> realmente spiegato cosa sia l’aborto, quale sia la realtà del feto,
> quali gli effetti dell’operazione sul fisico e sulla psiche di chi vi
> è coinvolto?
>
> 7. Infine, l’uso della pillola abortiva Ru 486 appare in aperto
> contrasto con tutto lo spirito della legge 194, nata – si disse – con
> lo scopo di socializzare l’aborto, di evitare che rimanesse un evento
> privato, solitario, clandestino. Inoltre il ricorso all’aborto
> farmacologico urta spesso con la disposizione dell’articolo 5 che
> prevede sette giorni di
> ripensamento: infatti la Ru 486 può essere utilizzata entro 49 giorni,
> ma talora la donna, a quella data, non è neppure consapevole di essere
> incinta.
> Come potrà, allora, incalzata dalla fretta, avere il tempo per
> riflettere bene sulla sua decisione? Infine, la legalizzazione della
> pillola abortiva contrasterebbe con l’articolo 15 della 194, che
> prevede l’adozione delle tecniche «più rispettose dell’integrità
> fisica e psichica della donna, e meno rischiose per l’interruzione di
> gravidanza»: la Ru 486, come ampiamente dimostrato su queste pagine
> nelle ultime settimane, è assai più pericolosa e dolorosa, sia per il
> fisico che per la psiche della donna, dell’aborto chirurgico