Ciao cara mia,
mi chiamo Vanessa, sono una ragazza di 23 anni, studentessa . Ti vorrei raccontare un periodo della mia vita molto interessante e molto triste che mi ha fatto capire tante cose e maturare. Mi auguro che tu legga fino alla fine e che questo ti possa aiutare a prendere la decisione giusta.
Avevo appena 19 anni quando sono rimasta incinta, quando ho concepito quel “bimbo meraviglioso”. Ero in camera mia dopo una settimana di ritardo delle mestruazioni, avevo deciso di fare un test senza farlo sapere al mio ragazzo. Il test risultò positivo. Ero sola, disturbata, nel panico, non sapevo cosa fare, piangere, gridare o ridere. Mi sono seduta sul letto, ma sentivo in me una grande gioia, ero contenta – pensa – di sapere che ero feconda e che portavo in me “qualcuno”, nello stesso tempo avevo paura perché pensavo ai miei genitori, che ci hanno educati secondo la Bibbia: mio padre non avrebbe tollerato questo dopo tutti i sacrifici che avevano fatto per mandarmi qui a studiare; poi siamo una famiglia numerosa e nel mio paese in Africa c’e povertà, per questo una volta giunta qua mi mantenevo da sola e ogni tanto quando avevo un po’ di soldi in più aiutavo i miei a mantenere i miei fratelli; ero nel panico perché mi ricordavo che non lavoravo e che non avevo soldi, ero triste perché mi chiedevo come l’avrebbe presa il mio ragazzo: se l’avesse voluto? E se no come fare? Mi sono posta la stessa domanda, penso, di tutte le ragazze a quel momento: cosa fare? In quel momento avevo mille e una domanda ma nessuna soluzione.
Non sapendo rispondere ho chiamato il mio ragazzo per parlarne. Mi ha risposto cosi: ”Lo sai che non sono pronto, non siamo pronti, non abbiamo soldi, non è il momento. Qualunque sia la decisione che prenderai (non ‘prenderemo’) io non ti garantisco il matrimonio”.
Mica era una trappola per sposarlo, lì ho capito indirettamente che non lo voleva. Ma io lo sentivo già in me questo piccolo essere e non lo volevo perdere così. Avevo solo bisogno di qualcuno per appoggiarmi psicologicamente e anche nelle difficoltà della vita ma in quel momento non avevo nessuno. Ho preso coraggio e ho obbligato il mio ragazzo a chiamare insieme a me mio fratello. Lui mi ha risposto così: “Come sei stata così stupida, non potevi utilizzare i preservativi?” Visto che lui conosceva prima di me il mio ragazzo e sapeva che era un “don Giovanni” poco raccomandabile e che non avrebbe mai assunto le sue responsabilità, era stato sempre contro quel rapporto. Ma io ero innamorata e quando lo si è non si vedono i difetti del partner. Poi aggiunse mio fratello: “Devi abortire prima che i genitori e la gente siano al corrente, poi pensa agli studi e ai genitori”.
Mi sentivo sempre di più sola, male, triste. Il mio ragazzo era interamente favorevole all’aborto. Io non capivo bene la profondità della parola, ma il senso sì. Non ero d’accordo, ma non sapevo cosa fare … In quel periodo lui era molto più dolce, disponibile, presente del solito. Mi accompagnò dal ginecologo per prenotare l’intervento, tutto passava così veloce, io ero persa, non capivo più niente, mi lasciavo trascinare da tutte le parti senza resistere, in ospedale dal ginecologo aveva anche deciso lui quale anestesia fare, aveva scelto la generale, parlava rispondeva al mio posto a tutte le domande generiche. Non capivo tutto ciò che mi stava accadendo, mi ero rinchiusa in me e pregavo, chiedevo a Dio di aiutarmi, ero sola. Poi durante la visita il medico si fermò un attimo perché aveva notato che non parlavo, mi guardò in faccia e mi disse:” tu cosa vuoi?”
Ho risposto: “Non lo so, lo amo già questo piccolo essere; ma secondo lei è già formato interamente o e ancora un ‘uovo’? Perché se è già formato interamente me lo tengo. Mi farete l’ecografia vero?” Mi rispose di sì. “Se sento il suo cuore battere me lo tengo” e cominciai a piangere. Lui fece uscire il mio ragazzo e mi disse “Ti do fino a tre mesi, lascio la pratica aperta: farai tutti gli esami, pensaci bene, se lo vuoi tenere torni da me e annulliamo tutto.”
Io lo volevo, mio fratello e il mio ragazzo no, non potevo parlarne alla mia famiglia, mi vergognavo di parlarne ai miei amici. Sola, senza soldi, come potevo fare, l’università ecc. Pregavo, piangevo, sola in questo paese. Mi sono messa con il tempo a parlare con il bimbo; mi prenderai per una pazza, ma è vero: c’è un legame strano e profondo tra madre e figlio che nessun uomo può capire.
Poi ho passato una fase di più o meno tre settimane – un mese in cui non volevo più pensare a nulla, pensavo solo a me e al mio bimbo, mi prendevo cura di me sapendo che così mi prendevo cura di lui. Intanto avevo fatto gli esami del sangue, l’ecografia, ecc., pregavo sempre chiedendo aiuto e forza di dire no all’intervento ma sinceramente non realizzavo che ‘aborto’ non è solo una parola ma è impedire a un essere vivente di vivere, è togliere la vita.
Due giorni prima dell’intervento mia madre era andata in Francia per un congresso così ne aveva approfittato per venire a salutarci e mentre parlavamo senza saper niente della mia gravidanza mi disse: “Oggi siete grandi, noi vogliamo che vi sposiate e facciate dei figli nel matrimonio. Sei qua da sola oggi, se ti capita un giorno di rimanere incinta non preoccuparti, tienilo e mandamelo a casa, me ne occuperò io. Ma non vuole dire che ti sto incoraggiando a non usare protezioni, a rimanere incinta. Non preoccuparti per tuo padre, saprò come fare, ma per favore non abortire mai” lo disse cosi normalmente. Mi sentii male ma non glielo dissi.
Mi ero resa conto bene che forse era la mano che chiedevo da tanto al Signore ma mi chiedevo: se glielo dicessi come reagirebbe? Sempre con la stessa normalità? Si fidava troppo di me! Poi sono la prima figlia, che esempio per le mie sorelle! Oggi mi dico e sono sicura: la mano che avevo chiesta al Signore era arrivata ma non avevo saputo prenderla. Mi misi a piangere, chiedevo al mio bimbo “Come fare? Cosa fare?” Lo amavo cosi tanto!
il giorno dell’operazione il mio ragazzo mi accompagnò in ospedale. Non avevo la forza di decidere di andarmene, mi lasciavo trascinare, sentivo in me come se il mio bambino mi parlasse ed oggi credo che mi abbia parlato, diceva: “Non farlo, non farlo, ti prego, c’e una soluzione!” Ma quale non la vedevo.
Mi sono lasciata portare ma dopo il mio risveglio, visto che avevo preso l’abitudine di parlare con lui, volevo farlo, poi mi sono ricordata che non c’era più, non era più presente, non era più in me. Lì ho capito il senso vero e la profondità dell’aborto. Mi mancava il mio bimbo, lui, il mio amico, il sangue del mio sangue, non c’era più, l’avevo tolto io, gli avevo impedito di vedere la luce.
L’indomani del giorno in cui sono uscita trovo un volantino che dice “Non sei sola, noi aiutiamo le donne in difficoltà”; mi sento molto più male. Poco tempo dopo mi lascia il mio ragazzo. Avevo perso tutto ma non mi interessava. Stavo molto più male perché avevo perso quell’essere che mi amava più di tutto, il mio bimbo. Quell’essere che mi chiedeva sola di proteggerlo ma non ci sono riuscita, quell’essere debole. Mi sento molto in colpa perché era debole. Mi preoccupavo e avevo paura dei miei. E anche perché non avevo messo totalmente la mia fiducia in Dio che mi aveva aiutata ma non me ne ero neanche resa conto. Non me lo perdonerò mai, oggi sono due anni che sto male. Chiedo perdono al mio bimbo e a Dio.
E ti prego cara mia, non abortire, perché c’è sempre una soluzione.
Ricordati sempre: non ci sono mai problemi senza soluzioni e non ci sono problemi che il Signore non ti possa aiutare a risolvere.
Ti prego non togliere la vita, il regalo che ti dà il Signore, l’opportunità che hai di dare la vita.