ROMA, domenica, 25 giugno 2006 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito la risposta della dottoressa Claudia Navarini, docente presso la Facoltà di Bioetica dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, alla domanda inviata da una lettrice di ZENIT.

Nel caso di una gravidanza extrauterina, in particolare quando il feto si trovasse a crescere nella cavità addominale, da un punto di vista etico come ci si deve comportare? Se si sa già che il bambino non potrà sopravvivere si può intervenire chirurgicamente, prelevare il bambino e lasciarlo morire di morte naturale? Soprattutto nel caso ci siano pericoli per la vita della madre, come ci si deve comportare? Sono segnalati casi di questo tipo di cui lei sia a conoscenza?
Francesca A. (Torino)

Cara Francesca,
l’impianto anomalo dell’embrione si verifica in una percentuale di casi che oscilla fra 1:80 e 1:200 . Tra le cause più frequenti di gravidanza extrauterina vi è il ricorso alla fecondazione in vitro con successivo embryo transfer (cfr ad esempio Roberts RV, Dickinson JE, Leung Y, Charles AK., Advanced abdominal pregnancy: still an occurrence in modern medicine, Aust N Z J Obstet Gynaecol. 2005 Dec, 45,6:518-21) e l’utilizzo della spirale o IUD (intra uterin device), comunemente ritenuta un “semplice contraccettivo”. Altri fattori correlati sembrano essere l’età avanzata della donna, precedenti gravidanze ectopiche, l’utilizzo prolungato di contraccettivi e contragestativi ormonali.

Da ciò si comprende facilmente perché l’incidenza di gravidanze extrauterine (o ectopiche) sia in aumento: le cause solitamente associate a questa patologia della gravidanza sono tipiche del nostro tempo, che ha fatto purtroppo della contraccezione un’ovvietà, delle tecnologie riproduttive una “conquista di civiltà” e dell’aborto un fatto quasi banale o, al limite, un male necessario.

Sede di una gravidanza extrauterina possono essere le tube di Falloppio (98%-99% dei casi), l’ovaio o il canale cervicale (0,75%), o anche l’addome (1,3%). Nella stragrande maggioranza dei casi la gravidanza non giunge al termine, ed esita nell’aborto spontaneo o procurato.

L’aborto spontaneo nelle gravidanze tubariche avviene solitamente fra i 45 e i 60 giorni dal concepimento, quasi sempre prima che la diagnosi venga effettuata. Quando la gravidanza extrauterina viene invece “risolta” con l’aborto procurato, l’indicazione data è invariabilmente la salute della madre, messa a rischio soprattutto quando sopravviene la rottura della tuba e la conseguente emorragia, che nel caso interessi vasi sanguigni importanti può condurre alla morte.

Esistono tuttavia casi rarissimi in cui la gravidanza prosegue, e in casi eccezionali è anche possibile condurla fino al termine. Una delle situazioni in cui tale evento può verificarsi è proprio quella della gravidanza addominale, in cui l’embrione può annidarsi su qualunque tessuto o organo della cavità addominale, ad esempio sulla parete esterna dell’utero, o anche sul fegato (Godyn JJ, Hazra A, Gulli VM, Subperitoneal placenta accreta succenturiate in the case of a successful near-term extrauterine abdominal pregnancy, Hum Pathol. 2005 Aug, 36, 8: 922-6).

Nel giugno di quest’anno, ad esempio, la letteratura medica ha riportato il caso di una donna africana di 38 anni a cui è stata diagnosticata una gravidanza addominale solo al momento del parto, conclusosi con l’estrazione di un feto morto (Afolabi BB, Ola ER, Ibidapo MO, Anorlu RI, Spontaneous heterotropic pregnancy in sickle cell disease with survival of the abdominal pregnancy, Niger Postgrad Med J. 2006 Jun, 13, 2:163-4). Un anno prima, nel giugno 2006, un’altra donna africana, nelle stesse condizioni, aveva partorito a 37 settimane una bambina viva di 2,6 kg (Ikechebelu JI, Onwusulu DN, Chukwugbo CN, Term abdominal pregnancy misdiagnosed as abruptio placenta, Niger J Clin Pract. 2005 Jun, 8,9:43-5).

La possibilità di riconoscere precocemente e di monitorare le gravidanze extrauterine è fondamentale per il miglior interesse dei soggetti coinvolti, ovvero per l’eventuale sopravvivenza fetale e per la salute materna. Dunque, un primo elemento da tenere in considerazione è che non necessariamente le gravidanze ectopiche, e quelle addominali in particolare, determinano la subitanea morte del concepito. Ogni speranza di vita del bambino va attentamente mantenuta accesa, dal momento che anche questi, e non soltanto la donna, sono pazienti.

E anche quando fosse evidente che il bambino è destinato a morire in breve tempo, non vi è ragione di anticiparne volontariamente la morte, così come non sarebbe lecito farlo nascere per poi “lasciarlo morire”, se ciò significa fargli mancare le cure necessarie, e condannarlo ad abbandono terapeutico. L’eutanasia neonatale, che in molti paesi sta diventando un’autentica piaga della medicina moderna, viene spesso giustificata attraverso l’affermazione che mantenere in vita bambini con disabilità gravi e permanenti sia una forma di crudeltà.

A questo scopo, si introduce l’uso di non rianimare i neonati gravemente prematuri, o di non alimentarli e idratarli, come se davvero un medico – o un genitore, o chiunque altro – potesse realmente giudicare la vita di un altro essere umano in base a parametri fisici, sanitari, di efficienza o di qualità di vita. La vita di un uomo, non importa quanto piccolo e “anomalo”, rappresenta un limite invalicabile alla smania di manipolazione, di trasformazione e di possesso del mondo. In altre parole, non può essere oggetto della tecnica, e tanto meno della tecnologia.

Si avrebbe invece una motivazione valida per un intervento chirurgico rischioso di estrazione se il bambino fosse in pericolo di vita e si ritenesse il parto una procedura che, pur nell’incertezza, offre qualche speranza in più di sopravvivenza o di benessere. Allo stesso modo, potrebbe essere giustificato un intervento che causi inevitabilmente la morte (o l’anticipazione della morte) del piccolo se ciò rientrasse in un terapia indispensabile a salvare la vita della madre.

Non, dunque, un aborto “terapeutico” per salvaguardare la salute della donna – quella salute fisica e psichica con cui la legge 194 sull’interruzione di gravidanza inopinatamente consente l’aborto selettivo ed eugenetico – , ma semmai un aborto indiretto, cioè un intervento volto esplicitamente a salvare la vita della donna e che tuttavia comporta, come conseguenza prevista ma non voluta, la morte del bambino.

Vale cioè in questo caso il principio etico del duplice effetto. Con alcune condizioni, fra cui il fatto che l’intervento sulla donna abbia la conseguenza di causare la morte del feto, ma non sia direttamente intenzionato a sopprimerlo, sia pure come mezzo per ottenere un fine buono, quale è l’assistenza alla donna in pericolo.

Sembrano sottigliezze. In realtà, per la valutazione etica dell’agire umano sono distinzioni cruciali, che segnano la differenza incolmabile fra un atto moralmente buono – salvare la vita materna senza poter salvare contemporaneamente anche quella fetale, o viceversa – e un atto moralmente cattivo – uccidere il feto allo scopo di salvare la madre, o viceversa–.


La chiave di volta per comprendere tali distinzioni etiche è il valore della vita umana. Se si riconosce, come appare necessario, che la dignità del bambino è pari a quella della donna, e che entrambi hanno diritto alle cure nel rispetto della loro vita e della loro integrità, allora il comportamento da tenere in caso di gravidanza addominale risulta chiaro: non si può agire nell’esclusivo “interesse” della donna, ma bisogna cercare di salvaguardare anche gli interessi del bambino.

Dunque, anche la gravidanza extrauterina non andrà immediatamente considerata un lasciapassare per l’aborto, ma una condizione di grave rischio materno-embrionale, da seguire con attenzione per intervenire secondo il bene dei due pazienti coinvolti. Ad esempio, non sarà eticamente corretto rimuovere l’embrione ancora vitale presente nella tuba, per prevenire una lacerazione, ma si dovrà intervenire rimuovendo la tuba in questione nel momento in cui questa è sul punto di rompersi (o si è già rotta). L’intervento non consiste primariamente nell’eliminare l’embrione, ma nell’asportare una tuba irrimediabilmente danneggiata che sta mettendo la donna in imminente pericolo di vita, anche se ciò comporterà la perdita dell’embrione ancora presente nella tuba stessa.

Non è molto dissimile il caso in cui si abbiano altre complicazioni in gravidanza, ad esempio la gestosi. Nella decisione di intervenire facendo nascere anticipatamente il bambino devono entrare gli interessi dei due pazienti. Pertanto, si dovrà aspettare ad intervenire chirurgicamente fino a che ciò rappresenta la soluzione più conveniente per entrambi. Se il bambino in utero sta crescendo e la madre può essere tenuta sotto controllo, occorre attendere per consentire al bimbo maggiori speranze di sopravvivenza. Nel momento in cui le condizioni della madre peggiorino vistosamente, sarà necessario procedere al taglio cesareo; a quel punto, tale soluzione è generalmente quella preferibile anche per il figlio, o comunque non rappresenta per lui un elemento peggiorativo. Va da sé che bisognerà fare quanto è possibile per tenere in vita il bambino dopo la nascita.