All’ospedale di Cuneo l’incredibile vicenda di una giovane donna che, dopo aver eseguito gli accertamenti clinici per l’ivg, ha deciso di proseguire la gravidanza e si è sentita rispondere che avrebbe dovuto pagare il ticket. La ragazza, in gravi difficoltà, ha poi abortito. La direzione sanitaria: «Applichiamo la normativa regionale». La denuncia della Comunità Papa Giovanni XXIII: È una violazione della 194. Il sottosegretario alla Sanità Eugenia Roccella: Chiederemo alle Regioni di porre rimedio a questa situazione.
la storia |
IL MINISTERO
NEL 2007 OLTRE 127MILA ABORTI
Secondo i dati provvisori contenuti nella relazione ministeriale sull’attuazione della legge 194/78, nel 2007 sono state effettuate 127.038 interruzioni volontarie di gravidanza con un calo del 3% rispetto al dato definitivo del 2006 che è di 131.018 casi e un decremento del 45,9% rispetto al 1982, anno in cui si è registrato il più alto ricorso all’aborto (234.801 casi).
Dal 1983 i tassi di abortività sono diminuiti in tutti i gruppi di età, più marcatamente in quelli centrali. Come negli anni precedenti, si conferma un minore ricorso all’interruzione della gravidanza tra le giovani italiane rispetto a quanto registrato negli altri Paesi dell’Europa occidentale. Nel corso degli anni è cresciuto il numero degli interventi effettuato da donne con cittadinanza estera, raggiungendo nel 2006 il 31,6% del totale, mentre nel 1998 la percentuale era del 10, 1%. Questo fenomeno influisce sull’andamento generale degli aborti in Italia, determinando una stabilità nel numero totale degli interventi e nasconde la diminuzione presente tra le sole donne italiane. Infatti, se si considerano solo le interruzioni di gravidanza effettuate da cittadine italiane il dato risulterebbe essere 130.546 nel 1996, 124.448 nel 1998, 113.656 nel 2000 fino ad arrivare a 90.587 nel 2006, con una riduzione del 3,7% rispetto al 2005 e del 30,6% rispetto al 1996. In generale, nel corso degli anni le più rapide riduzioni del ricorso all’aborto si sono osservate tra le donne più istruite, tra le occupate e tra le coniugate.
Per quanto riguarda gli aborti clandestini, per il 2005 la stima è di 15mila. Il dato riguarda solo le donne italiane, dal momento che non sono disponibili stime affidabili per le straniere. Si conferma, dunque, la contemporanea diminuzione dell’abortività legale e clandestina tra le donne italiane, quest’ultima era stata stimata pari a 100mila casi nel 1983.
MATERNITÀ A OSTACOLI
La direzione sanitaria: «Applichiamo la normativa regionale del dicembre 2006 che, a sua volta, recepisce la Finanziaria». Ma poi, si fa notare, nessuno ha mai preteso davvero il pagamento
Abortire è gratis Ripensarci no
Le linee guida del Piemonte puniscono chi, dopo gli esami per l’interruzione, decide di tenersi il bebè
DAL NOSTRO INVIATO A CUNEO
PAOLO VIANA
S e decidi di abortire gli esami sono gratuiti, ma se ci ripensi devi pagare il ticket. Succede a Cuneo e non solo qui. Una contraddizione grottesca con la legge 194 e i suoi propositi di tutela della vita. Probabilmente, è solo il frutto dello zelo con cui le Regioni cercano di tenere le redini della spesa sanitaria, ma sta di fatto che, contieni di qui e taglia di là, spariscono le esenzioni per chi si sottopone all’interruzione volontaria di gravidanza e spariscono proprio nel momento in cui la futura mamma decide di non uccidere più il suo bambino. Un ripensamento che può costarle caro: le linee guida della Regione Piemonte dicono che « se il paziente, idoneo per la day surgery – si legge nella deliberazione della Giunta Regionale 28 dicembre 2006, n. 71-5059 – rifiuta successivamente il trattamento o non si presenta per effettuare il ricovero, le prestazioni erogate sono a totale carico del paziente stesso». Per il momento, ci si ferma al ticket. La denuncia parte dalla Comunità Papa Giovanni XXIII: «Non è vero che si fa di tutto per tutelare la vita. Dal giorno in cui prende questa terribile decisione a quello in cui entra in sala operatoria, la madre percorre un tunnel senza uscita, in cui il feto è considerato una malattia da estirpare. Se la donna ci ripensa, infatti, le chiedono di pagare gli esami che ha fatto fino ad allora e che sono gratuiti solo se l’iter si conclude con l’aborto. Questa è una violazione di fatto della legge 194». Chi parla così, Daniela Giorgis, se ne intende non solo perché di bambini ne ha messi al mondo tre e uno aspetta il suo turno nel pancione. «Ogni settimana – ci racconta la responsabile del servizio maternità difficili della zona Piemonte – riceviamo richieste di aiuto da diverse madri, extracomunitarie e italiane; all’origine dei loro problemi c’è spesso un dato economico ». La crisi morde anche nella Granda, che presenta il reddito pro capite più basso del Piemonte. «Noi aiutiamo tutte le madri in difficoltà – dice Daniela – ma non è facile risolvere tutti i casi». Sarah, il suo, se lo è risolta da sola, varcando il portone dell’ospedale Santa Croce e Carle. Con lei, Liliana, l’amica di sempre, che racconta: «Al consultorio le hanno spiegato cosa stava succedendo e l’hanno indirizzata a una comunità per farsi aiutare ma era sconvolta. In famiglia non l’avrebbero capita, il ragazzo non ne voleva sapere… L’ho accompagnata io a fare gli esami e ad abortire ». Sarah – il suo nome è un altro, per ragioni di privacy – ricorderà per sempre quell’ecografia, il cuoricino che batteva, lo sguardo appannato dell’amica e quel mon- do di favole che affogava lentamente in un pianto acerbo. Ancora Liliana: «Quando siamo scese a prenotare l’intervento, lei ha chiesto se poteva ripensarci e l’impiegata ha risposto che poteva farlo ma che avrebbe dovuto pagare il ticket per gli esami effettuati fino ad allora. È stata l’ultima assurdità».
In una mattina di mezzo aprile, Sarah ha abortito in esenzione. Se avesse fatto dietrofront, in base ai moduli firmati il primo giorno, avrebbe dovuto versare un centinaio di euro nelle casse dell’ospedale. E non perché il Santa Croce sia un covo di abortisti incalliti. Nelle corsie di questi palazzoni anni Sessanta, sottolineano alla Giovanni XXIII, si respira al contrario una sensibilità rara. Non a caso, finora, nessuna delle donne che hanno deciso di non abortire più ha ricevuto la cartella esattoriale. L’obbligo di pagare quel ticket, però, esiste e per averne conferma basta chiedere all’ufficio cassa dell’ospedale, dove un’impiegata, con la cortesia inflessibile della burocrazia sabauda, per un po’ cerca persino di convincerci dell’equità del provvedimento – «Se prenota una visita all’otorino, improvvisa, e non si presenta, il ticket lo deve ben pagare » – ma poi realizza che di fronte alle risme di ricevute che le affollano la scrivania stanno entrando in collisione il bilancio della Regione e le leggi dello Stato e allora ci dirotta con altrettanta risolutezza verso la direzione sanitaria.
Ce lo spiega il dirigente medico Gian Luca Saglione perché, mentre la legge dice di rimuovere le cause economiche dell’aborto, in ospedale si disincentiva chi ci ripensa. Se non si trattasse della vita di una persona, sarebbe solo federalismo zoppo: lo Stato con una mano dà (o annuncia di dare) e la Regione, con l’altra, si affretta a togliere… «Noi applichiamo la normativa regionale – dice Saglione – , che a sua volta recepisce le indicazioni della Finanziaria. Non siamo quindi i soli a richiedere il pagamento del ticket per gli accertamenti clinici se non si completa la procedura di interruzione volontaria di gravidanza, perché questo prevede una delibera della Giunta regionale del dicembre 2006, in base alla quale la Regione riconosce il rimborso completo di esami, ricovero e intervento solo quando vi è una cartella clinica, cioè quando si affronta l’intervento. Sul piano amministrativo, l’Ivg è una prestazione come le altre e se la paziente decide autonomamente di non ricoverarsi e di non effettuare quell’intervento, gli esami che ha sostenuto fino ad allora vengono considerati prestazioni ambulatoriali, che l’amministrazione regionale rimborsa solo parzialmente all’ospedale, decurtando il ticket, che quindi dovrebbe essere richiesto alla paziente».
Il condizionale è la spia del buon cuore del Santa Croce, che finora ha dato un’interpretazione ‘elastica’ della norma regionale, astenendosi dall’esigere effettivamente il pagamento a chi ci ripensava. «Ma è una scelta della nostra amministrazione » precisa Saglione, confermando che in futuro la delibera potrebbe essere applicata senza eccezioni. E ricorda: «la normativa vigente prevede che se la paziente rifiuta di sottoporsi all’intervento le prestazioni erogate fino ad allora sono interamente a suo carico», altro che ticket! Torna pertanto il dubbio iniziale: ma chi si sottopone all’Ivg non dovrebbe essere esente? «Certo, ma solo se l’Ivg avviene. Se una donna – replica il dirigente – dopo gli esami decide di non abortire più, sul piano amministrativo è come se questa decisione l’avesse presa fin dall’inizio ».
«È una violazione della 194»
DAL NOSTRO INVIATO A CUNEO
« S candaloso e ingiusto » : è il giudizio della Comunità Papa Giovanni XXIII, fondata da don Oreste Benzi, sul pagamento del ticket richiesto alle donne che, all’ultimo momento, scelgono di non abortire. Una procedura diffusa da Nord a Sud, poco chiara e poco nota, ma che rischia di disincentivare il ripensamento e cozza contro lo spirito e la lettera della legge 194. « Pur non essendo in genere una cifra elevata – spiega Enrico Masini, responsabile del servizio Maternità Difficile della Comunità – il ticket rappresenta, almeno per i ceti meno abbienti, un ostacolo all’accoglienza del figlio quando, nei giorni precedenti l’intervento abortivo, la donna intraveda una luce di speranza nella sua travagliata esperienza materna » . Tanto più per il fatto che la spesa è ‘ criptata’ tra le carte che vengono fatte firmare alla paziente che sovente ne viene a conoscenza durante la preparazione all’intervento, quando la prospettiva di ‘ pagare gli esami’ può suonare come una minaccia e caricare di significati negativi un eventuale ripensamento.
« Purtroppo oggi l’aborto viene considerato al pari di una qualsiasi prestazione sanitaria – aggiunge Masini – e come tale segue un iter predefinito che non tiene conto dell’altissima posta in gioco che, per dirla alla don Benzi ‘ Con l’aborto ci sono due vittime: una mortalmente e l’altra per sempre’. Sappiamo che gli ospedali cercano di venire incontro alle donne, congelando i pagamenti, ma riteniamo che questa normativa sia in contrasto con la legge 194 laddove si esprime per una tutela della maternità e della vita fin dal suo inizio, Di fatto, quando è prevista dalle norme regionali, è una bomba a orologeria, che può essere innescata in ogni momento » .
La Comunità Papa Giovanni XXIII lancia perciò un appello: « Chiediamo a tutte le Asl e alle Regioni che venga immediatamente sospesa questa ingiusta richiesta e al ministro del Welfare Maurizio Sacconi e al sottosegretario Eugenia Roccella che si adoperino affinché quanto lo Stato ha incassato in questi anni sotto questa voce venga immediatamente restituito attraverso un contributo economico a tutte le mamme condizionate economicamente nell’accogliere il figlio che già portano in grembo » . ( P. V.)
La Comunità Giovanni XXIII che ha segnalato il caso: «Scandaloso e ingiusto. L’aborto come una prestazione sanitaria qualsiasi»
l’intervista «Chiederemo il dietrofront alle Regioni» A ppena riapriranno gli uffici, lunedì, partirà la verifica del Ministero del Welfare e «se ci confermeranno che negli ospedali chi rinuncia ad abortire deve pagare il ticket potrebbe partire una circolare ministeriale perché questa procedura contraddice la legge 194». Parola di Eugenia Roccella, sottosegretario al Lavoro, alle politiche sociali e alla sanità. Le interrompe la vacanza sul lago, il caso dell’ospedale cuneese che chiede il pagamento del ticket a chi sceglie di non abortire più. La Comunità Papa Giovanni XXIII chiede a lei e a Sacconi di intervenire. Cosa risponde? Che, se verificheremo che realmente le Regioni chiedono alle donne che ci ripensano di pagare il ticket per gli esami sostenuti, le inviteremo a porvi rimedio. Per chiarire ogni dubbio interpretativo, potremmo comunque emanare una circolare di indirizzo. L’obiettivo dev’essere quello di interrompere una prassi, fondata, mi pare, sull’errata convinzione che l’Ivg sia assimilabile a qualsiasi altra prestazione sanitaria. Siamo di fronte a una violazione della legge 194? Per saperlo dobbiamo effettuare le nostre verifiche. Certo, se si chiede di pagare un ticket a una donna per il fatto che decide di non abortire, più siamo di fronte a una procedura che disincentiva economicamente l’obiettivo della legge, che è anche quello di prevenire l’aborto. Sembra che si tratti di una prassi diffusa. Da dove può scaturire? Siamo nel campo delle ipotesi, ma è possibile che una o più regioni assimilino l’Ivg ad altre prestazioni per le quali, quando si intraprende una procedura di esami che deve concludersi con un intervento, richiedono il pagamento del ticket allorquando non si verifichi l’intervento per iniziativa del paziente e non per un’indicazione clinica. Questo significherebbe però che per le Regioni l’aborto è la terapia di una malattia … Questo significherebbe che viene disattesa la prima parte della legge 194 e non credo che nessuna ammini- strazione voglia realmente equiparare l’Ivg alle altre prestazioni. Del resto, intuitivamente, si dovrebbe capire che applicare il ticket in caso di sospensione dell’Ivg significa non prevenire l’aborto. Francamente, però, sono convinta che esistano gli spazi per correggere eventuali sviste amministrative che, una volta entrate in circolo nella macchina sanitaria, rischiano di alimentare prassi pericolose, che svuotano di credibilità le leggi e gli sforzi che si fanno per applicarle. Paolo Viana Eugenia Roccella: «Potremmo emanare una circolare di indirizzo» |