In un’intervista-confidenza, rilasciato al settimanale “Grazia”, e che “La Repubblica” anticipò il 16 Marzo 2006, la signora Emma Bonino ci ha offerto uno squarcio psicologico dell’esperienza abortiva.

Ha confidato d’aver abortito nel 1975 provando « solitudine, umiliazione, rabbia e un gran bisogno che tutto finisse subito » (testuali parole).

Poi il « viaggio della speranza » in Svizzera, « quando negli anni ’80 ho cominciato a volere un figlio » con la fecondazione artificiale.

Queste le sue parole, per confermare che: « Non ho mai parlato di diritto all’aborto, ma di diritto ad una maternità scelta ».

Mi permetto di sottolineare due termini che la Bonino ha utilizzato nel descrivere la “scelta” abortiva: “umiliazione” e “rabbia”, insieme alla sua determinazione, descritta benissimo con le parole “un gran bisogno che tutto finisse subito”.

E’ molto importante quello che ha detto.

Chi si occupa dell’esperienza abortiva della donna e del post aborto, capisce subito di cosa si tratta. Intanto, che si tratta di “determinazione a risolvere il problema” gravidanza, ma non di “convinzione” che l’aborto sia la cosa migliore da fare. I termini usati per descrivere l’esperienza sono importanti, e infatti la Bonino parla di “umiliazione, rabbia, solitudine”.

Poi, appunto, la “rabbia”, che è un’emozione molto complessa. La “rabbia” provata in certi momenti non si esaurisce dopo aver risolto il problema, specialmente se era accompagnata da solitudine e umiliazione. Il fatto poi di voler dimenticare in fretta, e superare l’esperienza, significa non volerci più pensare, anzi cercare accuratamente una ragione logica per auto giustificarsi. Non è possibile, infatti, convivere con l’idea d’aver procurato la morte. Nella donna questo è emotivamente insopportabile.

Ma, pur cercando di dimenticare e di auto convincersi d’aver fatto la cosa più “giusta”, rimane come un’ombra che mantiene la “rabbia” con gli altri, con se stessi, con la società…, specialmente se un figlio era nel programma di vita. E così è stato per la signora Bonino. Ci sarebbero molte altre osservazioni da fare; mi limito a queste che sono le più comprensibili.

Riporto per completezza le parole della Dott.ssa Theresa Burke, fondatrice di Rachel’s Vineyard Ministries, un’attività di incontri di fine settimana specifici per le problematiche conseguenti all’aborto. Nel suo libro “Forbidden Grief: The Unspoken Pain of Abortion” (“Dolore proibito: la sofferenza non detta dell’aborto”), insieme a David C. Reardon, pone il lettore di fronte alla profondità dell’esperienza umana, un luogo in cui il dibattito sull’aborto spesso penetra.

<< Dopo tutte le polemiche, le manifestazioni, le politiche per la libertà e i diritti, rimangono gli aspetti emotivi dell’aborto che sfidano le parole.

L’agonia psicologica e spirituale conseguente all’aborto – dice la Burke – è soffocata dalla società, ignorata dai mezzi di comunicazione, rifiutata dagli psicologi e disprezzata dai movimenti femminili.

Il trauma post-aborto è una malattia grave e devastante, che non dispone di portavoci celebri, che non è oggetto di film, né di programmi televisivi o talk show.

L’aborto tocca tre questioni centrali dell’identità di una donna: la sua sessualità, la sua moralità e la sua maternità. Esso comporta anche la perdita di un figlio, o almeno la perdita dell’opportunità di avere un figlio. In entrambi i casi questa perdita deve essere affrontata, elaborata e compianta.

Una perdita di questo tipo raramente viene vissuta senza conflitto e contrasto interiore >>.

Qui si comprende il dolore e la “rabbia” della Bonino, e la sua… sofferenza nascosta, come quella di milioni di donne.

Riflettiamo prima di definire l’aborto una conquista.

Gabriele Soliani, R.E.