ALESSANDRO MONTANARI
Filosofo del diritto e titolare di cattedra alla Facoltà di Bioetica dell’Università Pontificia Regina Apostolorum e alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Europea di Roma, il professor Mario Palmaro è presidente nazionale dell’Associazione Comitato Verità e vita. Ha dedicato numerosi libri al tema della morale cristiana (Ma questo è un uomo, Il crocifisso scomodo, Catholic Pride, La fede e l’orgoglio), collabora con diverse riviste specializzate ed è editorialista de il Giornale. Da tempo si batte contro la legge sull’aborto, della quale sottolinea le incongruenze filosofiche e giuridiche.
Professor Palmaro, quali funzioni assegna la legge ai consultori?
«Nel momento in cui l’aborto è diventato legale, prima con la sentenza della Corte Costituzionale numero 27 del 1975 e poi con la legge 194, i consultori sono diventati il luogo in cui viene rilasciato il certificato che consente di abortire. La polemica verte sul fatto che la norma prevede che venga attuato un tentativo di rimozione delle motivazioni che spingono all’aborto, soprattutto quando siano di carattere economico-sociale. È del tutto evidente che in questi anni l’azione di dissuasione dall’aborto nei consultori sia stata, per usare un eufemismo, modestissima. Di fatto non c’è stata e i consultori sono diventati il luogo dove alla richiesta dell’aborto corrisponde, come un riflesso condizionato, l’emissione del certificato. Il problema che nessuno ha sottolineato, tuttavia, è perchè i consultori si siano trasformati in abortifici».
Perchè?
«Perchè i cosiddetti obiettori di coscienza, proprio per essere coerenti alla scelta fatta, non possono partecipare all’attività dei consultori. Altrimenti avrebbero un ruolo nelle operazioni che portano all’emissione del certificato».
Non possono per un problema giuridico o per uno scrupolo morale?
«Entrambe le cose. La soluzione potrebbe consistere nello scindere radicalmente il luogo in cui si svolge il colloquio dissuasivo, dal luogo dove viene rilasciato il certificato, come accade in Germania. La seconda osservazione che a mio giudizio va fatta è che il problema fondamentale è da ricercare nella filosofia della 194: una cattiva legge che, oltretutto, è stata applicata male. L’elemento qualificante della normativa è il principio di autodeterminazione. Qualsiasi intervento esterno mirato ad aiutare la donna si scontra con questo macigno giuridico, che affida alla donna un potere di vita e di morte che esclude ogni giudizio di terzi. Il fatto che una donna chieda di abortire è di per se stesso una causa giustificativa. Oggi quindi non è vero che si abortisce quando c’è un motivo giuridicamente verificato, ma è sufficiente l’istanza, e questo a mio parere rende il dibattito di questi giorni un po’ velleitario, almeno se non si ha il coraggio di rimettere in discussione i capisaldi della 194. La soluzione più blanda, quella che io chiamo “democristiana”, e cioè “cambiamo le cose nei consultori ma non tocchiamo la 194”, può essere un escamotage politico interessante. Giuridicamente, però, è solo un non senso».
Secondo lei, perciò, i consultori italiani sono gestiti esclusivamente da operatori filosoficamente o ideologicamente orientati a sinistra?
«Sì. Comunque, sono persone che hanno fatto una scelta precisa rispetto a questo problema. Fatto sta che oggi, al massimo, si possono verificare dei casi eccezionali, quelli in cui la motivazione per l’aborto è così marcatamente superficiale che anche lo psicologo o il medico abortista hanno una resistenza tale per cui alla fine suggeriscono alla donna di recarsi da un Movimento per la Vita o alla Caritas. Questo meccanismo, però, viene affidato alla sensibilità del singolo. C’è un’altra considerazione da fare. Il caposaldo dell’abortismo è la cultura della scelta. Ciò significa che l’atteggiamento dell’operatore sanitario deve sempre uniformarsi alla regola del rispetto. Alla donna non verrà mai detta una parola orientata a farle tenere il figlio, perchè sarebbe considerato una forma di violenza. Ecco perchè c’è questa levata di scudi nei confronti dell’ingresso dei volontari per la vita nei consultori».
Si può dire, in conclusione, che gli antiabortisti sono stati banditi dai consultori?
«Credo sia un dato inconfutabile, proprio perchè gli obiettori di coscienza non possono partecipare ai colloqui. Anche se apriranno le porte dei consultori ai pro-life, però, bisognerà capire come potranno agire senza partecipare direttamente alla procedura. Il dibattito in corso è quindi certamente interessante, ma anche viziato da una serie di elementi di superficialità abbastanza inquietanti».
Allude al fatto che nessuno denunci queste contraddizioni giuridiche?
«Certamente. Per questo occorrerebbe che i politici che appartenogno a forze anti-abortiste dicessero come la pensano davvero sulla 194».
Ritiene che il vero obiettivo della richiesta di introdurre i volontari anti-abortisti nei consultori consista nell’aprire la strada alla modifica della 194?
«Su questo ho molti dubbi. Noto che ci sono moltissime cautele e altrettante preoccupazioni. Poi ci vorrebbe un lavoro culturale attraverso i mezzi di comunicazione. E questo è difficile. Lei adesso mi sta permettendo di esporre le mie opinioni sul suo giornale, ma le posso garantire che la maggior parte dei mezzi di comunicazione, e soprattutto i quotidiani più importanti, operano una censura continua sul dibattito intorno all’aborto. Sono schieratissimi, non lasciano libertà di dialogo e questo condiziona pesantemente il senso comune della gente».
Come si collocano, nei confronti della legge e della morale, quegli ospedali che per evitare le restrizioni della sperimentazione acquistano la pillolla Ru486 all’estero?
«Quella della Ru486 è sicuramente una vicenda politica. Alcuni ospedali e alcuni medici stanno compiendo un’operazione ideologica per forzare ulteriormente le maglie, già larghe, della 194 e per rendere l’aborto ancora più banale e più facile. Ritengo che questo modo di operare sia estremamente scorretto. Come molti esperti di bioetica, faccio parte da anni di un Comitato Ospedaliero per la Sperimentazione dei Farmaci e posso assicurare che, normalmente, per trattare qualsiasi farmaco e introdurlo negli ospedali sono previste procedure molto rigorose e protocolli molto severi. Quanto al caso della Ru486, trovo ci sia una stranissima fretta di iniziare a utilizzare questo prodotto, che ha già dato molti problemi oltre che per la salute del nascituro, che muore, anche per la salute della donna. Prima di ricorrere a questo strumento, del quale peraltro la letteratura ci dice cose non sempre rassicuranti, bisognerebbe pensarci bene».
[Data pubblicazione: 23/11/2005]