VITA CHIVASSO
La campagna di prevenzione dell’aborto volontario, promossa dal Movimento per la vita e dal Centro di aiuto alla vita di Chivasso in occasione del quarantesimo anniversario della Legge 194/78, ha suscitato, in alcuni ambienti, un vespaio di polemiche.
Che l’aborto sia un argomento che appassioni, lo troviamo di gran lunga preferibile rispetto all’eventualità che ci lasci indifferenti. Ma è un tema estremamente complesso; chi pensa di poterlo liquidare in 2 battute commette un grave errore di sottovalutazione, dall’una o dall’altra parte. Per questo un manifesto pubblico, con la sua intrinseca esigenza di sintesi, non può essere uno strumento di confronto ragionato.
Il tema che deve essere messo a fuoco è il “bene dell’essere umano”, di tutti gli esseri umani coinvolti, nel massimo grado possibile; ma per poterne discutere apertamente e lealmente bisogna prima rimuovere il pregiudizio verso l’altra sponda.
Qualcuno pensa che tutti quelli contrari all’aborto siano insensibili alla sofferenza fisica e morale delle donne? Che il loro obiettivo sia schiacciare chi ha abortito sotto il peso del rimorso di coscienza? Sbagliato.
Qualcuno pensa che tutti quelli favorevoli all’aborto siano inguaribili edonisti, egoisti, sprezzanti della vita altrui? Pensiamo di no.
Crediamo però che si debba partire dalla realtà, dalla verità scientifica e biologica, prima ancora della verità spirituale. Il principio matematico ci dice che dall’ipotesi discende la tesi, mediante una dimostrazione; ma attenzione, se le premesse sono sbagliate, le conclusioni non possono che essere sbagliate.
E le premesse sono queste:
- La donna che si trova in una situazione di gravidanza indesiderata (lasciamo perdere per ora i motivi) è un essere umano in una situazione di estrema difficoltà, spesso abbandonata al suo destino da un partner che se ne lava le mani e comunque sottoposta a fortissime pressioni esterne; è frastornata, il mondo le crolla addosso. Ha bisogno di aiuto, per risolvere “il problema”, ma non è detto che quella che sembra la soluzione più semplice e veloce sia quella giusta.
- Il bambino che si sta sviluppando nel grembo materno è un nuovo individuo della specie umana, è vivo, non gli si può imputare alcuna colpa e come tutti gli esseri umani chiede solo di vivere.
Se la soluzione apparente consiste nel salvaguardare una vita a scapito dell’altra, qualcosa non torna.
Tanto per cominciare sarebbe più corretto dire “credere di salvaguardare”: si potrebbero scrivere fiumi di inchiostro sulle conseguenze fisiche e psichiche dell’aborto volontario sulla donna. Citiamo solo che le statistiche rilevano come l’aborto volontario aumenti notevolmente il rischio di suicidio.
La maternità negata è un dramma per la donna, perché è capace di rimanere silente per anni e poi di esplodere, lacerando violentemente l’anima della donna, che sente su di sé tutto il peso della responsabilità per aver impedito la nascita del proprio figlio. Lo diciamo non perché questo ci rallegri, ma per mettere in guardia la donna dal grave pericolo che corre, illudendosi di trovare un rimedio che le procurerà un danno ancora peggiore.
Il vero pro-life ha solo un obiettivo: difendere il bambino e INSIEME difendere la mamma. Non avrebbe senso difendere il bambino CONTRO la sua mamma, che magari è anche moglie e mamma di altri figli.
Queste sarebbero le premesse per poterne discutere con rispetto reciproco fra le parti.
Molte persone, che non ci hanno risparmiato critiche, ci conoscono da anni e sanno benissimo quello che facciamo: non siamo gente che si limita a parlare per difendere un’idea.
A Chivasso, in 22 anni di attività, il Centro di aiuto alla vita ha sostenuto la nascita di 193 bambini, di cui esattamente 50 destinati ad essere abortiti a qualche ora o giorno di distanza da un colloquio, quasi sempre fortuito, nel quale l’amicizia, il conforto e l’aiuto offerto alla donna sono stati determinanti per l’esito positivo della gravidanza.
Oggi noi diamo assistenza continuativa mediamente a 140 persone al mese: pannolini, latte in polvere, vestitini, alimenti, medicine, carrozzine, passeggini, aiuti economici, eccetera eccetera eccetera.
Fintanto che facciamo assistenza, fin quando regaliamo il nostro tempo e le nostre energie, senza guardare l’etnia, la religione, il colore della pelle, allora andiamo bene. Appena invece proviamo a ricordare alla società che l’aborto è comunque la soppressione di un essere umano, a quel punto scattano le peggiori accuse, senza guardare in faccia nessuno.
I volontari del Movimento per la vita e del Centro di aiuto alla vita di Chivasso proprio non ci stanno, a passare per persone spregevoli, desiderose soltanto di far soffrire con inutili sensi di colpa le donne che hanno ceduto all’aborto.
Se non difendessimo il nostro operato, faremmo un torto non solo ai dirigenti, ai volontari e agli iscritti, ma soprattutto alle innumerevoli persone che ci stanno vicino e ci sostengono con le loro offerte.
L’unica accusa che ci sentiamo orgogliosamente di confermare è quella che non siamo d’accordo con una legge dello Stato. Sì, una legge talmente controversa da dover prevedere l’obiezione di coscienza contro essa stessa. Per inciso, anche le leggi razziali erano “Legge dello Stato”, ma a non condividerle c’è solo da esserne fieri.
Quanto al resto, è semplicemente ridicolo attribuirci di fare “disinformazione contro le donne”, sulla base di quel manifesto che presentava la foto di un feto a tre mesi di gestazione, con il semplice obiettivo di mostrare le fattezze di quell’essere che spesso viene definito “grumo di cellule”.
Non è giusto accusarci di averlo fatto con il fine di colpevolizzare chi ha ceduto alle sirene dell’aborto. Le donne profondamente provate dal rimorso, gemono per la consapevolezza di ciò che hanno fatto, non per il fatto che qualcuno glielo evochi. La nostra amicizia non si limita alle donne che hanno rinunciato all’aborto, siamo vicini anche a chi l’aborto l’ha vissuto e ne porta addosso ancora le conseguenze, aiutandole a superare i traumi e a recuperare pienamente la fiducia in sé stesse.
E’ profondamente scorretto e disonesto accostare la nostra iniziativa all’incremento della violenza contro le donne, triste e deprecabile deriva della nostra società, che non può trovare alcuna giustificazione.
Infine, troviamo allucinante l’auspicio che l’Italia possa reprimere la coscienza, vietare la libertà di opinione (reato tipico delle dittature), nascondere, con la forza della legge, la verità scientifica e biologica della vita umana e impedire addirittura che si possa offrire un aiuto concreto per scongiurare l’aborto.
Fin qui la difesa. Ci sia consentito adesso di mettere in dubbio la genuinità dei paladini dell’aborto libero.
E’ vera difesa della donna, fare in modo che prenda una decisione così grave senza conoscere esattamente le conseguenze fisiche e psichiche che tale decisione può comportare alla sua persona?
E’ vera difesa della libertà, nascondere la verità sulla natura di quel figlio che rischia di non vedere la luce per scelta deliberata della mamma?
Non saremo noi a stabilire dove stia la ragione: sarà la Storia, prima o poi, a giudicarci.