Sul numero 6 di Farma Mese di giugno 2008 è stato riportato un commento del collega Alfonso Marra alle dichiarazioni dell’ex Presidente di Federfarma Giorgio Siri circa l’obiezione di coscienza all’interno di pratiche abortive. Ineccepibile e completo il lungo preambolo in cui viene riconosciuto pure alla nostra categoria di “operatori sanitari” il diritto di esimersi da procedure abortive secondo l’articolo di legge 194/78.

Tuttavia nel finale della lettera si conclude affermando che il farmacista «per poter legittimamente avanzare obiezione di coscienza proprio in ragione della funzione pubblica esercitata, deve prevedere la presenza nell’esercizio farmaceutico di un altro farmacista che non sia obiettore, il quale dovrà fornire il medicinale a chi ne abbia fatto richiesta. E ciò in quanto il farmacista ha per legge l’obbligo giuridico di consegnare al paziente il farmaco prescritto da un medico di medicina generale o da uno specialista e, ove ne sia sprovvisto, ha l’ulteriore obbligo giuridico di procurarlo nel più breve tempo possibile» (sic).

Dunque in ultimo, ogni titolare/proprietario di farmacia sarebbe comunque vincolato alla consegna di qualunque prodotto, nella fattispecie abortivo; c’è da rimanere perplessi quando, secondo le motivazioni enunciate, si obbliga un’intera categoria a farsi cooperatore di un’azione che può contrastare con la propria coscienza di operatore sanitario.

Per di più, con tanto di remunerazione ottenuta dalla consegna del prodotto (non a caso viene citata la RU486, per la quale l’ex Ministro alla Salute ha avviato l’iter per la registrazione in Prontuario Nazionale).

Mi permetto di replicare a tali conclusioni –a mio avviso- compromissorie:

– il farmacista ha sì l’obbligo di fornire qualunque farmaco davanti a regolare prescrizione medica. Infatti per definizione, un farmaco è una sostanza o associazione di sostanze presentata come avente proprietà curative o profilattiche della malattie umane, allo scopo di ripristinare, correggere o modificare funzioni fisiologiche, esercitando un’azione farmacologica, immunologica o metabolica.

Non è il caso della RU486, il cui principio attivo pur essendo una sostanza presente in farmacopea, non è impiegato a scopi farmacologici (o curativi) ma piuttosto a dosi tali da ottenere aborti.

E poichè tutti convengono che la gravidanza non può definirsi “patologia” e l’eliminazione di un figlio come “cura”, gli effetti di questo e altri simili preparati chimici non sono certo “medicamentosi”.

– Davvero il farmacista, o meglio la farmacia deve ridursi a fredda “macchinetta erogatrice automatica” quando invece dietro al banco si trovano persone qualificate e sensibili a certi temi etici di portata capitale? Un esempio tra tanti: nelle farmacie olandesi viene già erogato da tempo il cosiddetto “kit per l’eutanasia”, ovvero un cocktail di sostanze ad alte dosi mirato a eliminare un paziente malato. Dovremmo assecondare qualunque prescrizione sapendo che tali preparati non hanno finalità medicinali (anzi opposte) e che per deontologia il farmacista è invitato a «operare in piena autonomia e coscienza professionale (perciò l’obiezione di coscienza in quanto tale non ha bisogno di autorizzazione legale), conformemente ai principi etici e tenendo sempre presenti i diritti del malato e il rispetto della vita» (art.3)?

La farmacia, in quanto esercizio pubblico su territorio, dovrebbe garantire sempre il prodotto abortivo. Allora se si avanza la richiesta di aborto in qualunque presidio clinico dotato di reparto ginecologico, questo viene praticato? E’ vero piuttosto il contrario: solo in quelli convenzionati con la legge 194.

Concludendo, se il principio ippocratico «non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale, né suggerirò un tale consiglio; similmente a nessuna donna darò un medicinale abortivo» venisse “soffocato” da alcune pretestuose sottigliezze normative, assisteremo a uno stravolgimento irreversibile della nostra professione.

Dott.Vittorio Baldini

Bologna

(n° iscriz. All’Albo Professionale: 4005)